lunedì 16 agosto 2010

Cronache di Mostri - Pugni sulla porta

“Dai Ma’, sono io.. Apri la porta! Passavo di qua e fuori piove così forte, così ho pensato di venire a trovarti. Lo so, lo so, non serve che dici niente. Non voglio niente da te, lascia solo che mi riposi un momento e poi me ne vado, promesso.

Ti ricordi ancora di me mamma? Se non ti ricordi posso capirti: ero solo un bambino l’ultima volta che ci siamo visti. La polizia mi cercava, avevo picchiato quel tale e non sapevo dove nascondermi. Avevo tanta paura, così tu mi hai portato via e mi hai messo su una barca per chissà dove. Ti sei girata e hai cominciato a camminare, ti ho visto scomparire nella nebbia del molo, mentre la mia nave prendeva il largo.
Ero solo e confuso, mamma… così ho usato il talento che Dio mi ha dato, la mia rabbia. Fare il marinaio, lo scaricatore non faceva per me, così ho iniziato a combattere al porto. Non erano le mie mani che mi davano da mangiare, ma i miei pugni. Combattere era la mia vita, mia casa, il mio lavoro.

Ad ogni porto loro mi davano i loro soldi e io gli davo la mia rabbia. Mi mettevano di fronte disperati, proprio come me, e io li facevo crollare tutti a terra come sacchi di sabbia. Mi veniva facile come respirare, ero bravo. Avresti dovuto vedermi, mamma, quando ho combattuto col campione. Che momento. Pioveva come adesso, c’era fango dappertutto. Eravamo in un tendone fradicio che ci copriva a malapena, ci pestavamo tra una folla che urlava i nostri nomi. Ogni tanto mi sembra ancora di sentire il sapore dolciastro del sangue che mi riempiva la bocca e che si mischiava col fango. Pestava forte il campione. Mi ruppe anche una mascella, il bastardo, ma quando ebbi l’occasione schivai il suo destro e lo spinsi per terra con una spallata. Mi misi sopra di lui e lo colpii con tutta la violenza che mi era rimasta. Continuavo a colpirlo, la campana suonava e io continuavo a colpirlo. Potevo sentire sulle nocche la pelle squarciarsi, vidi il grigio dell’osso. Ma continuai a colpire finché non smise di muoversi. Solo allora, ansimando nel sangue e nel fango, mi resi conto che ce l’avevo fatta. Mamma ero il campione. Avresti dovuto vedermi, saresti stata così orgogliosa! Da allora la mia vita cambiò, arrivarono i soldi, quelli veri, e le donne cominciarono a ronzarmi intorno. Belle donne, coi loro abiti rossi, sempre accompagnate dagli uomini che scommettevano su di me, con le scarpe lucide e i vestiti di seta. Loro mi davano i verdoni in cambio della mia rabbia, io li davo alle loro donne per un’illusione, senza vergogna. Ho fatto ciò che dovevo e l’ho fatto per sopravvivere, ho avuto la mia parte e non ho rimpianti.

E poi il combattimento all’arsenale… Le presi da un tale grosso come un dannato orso. Lo picchiavo e quello restava in piedi e continuava a guardarmi con quegli occhi tristi. Colpiva pesante e io schivavo, schivavo senza sosta. E’ bastato un solo pugno sulla punta del mento e mi sono ritrovato per terra come in un sogno, a guardarlo immobile, senza poter far nulla, mentre l’arbitro mi contava e alzava il suo braccio al cielo. La sua gioia malinconica mentre io vomitavo le budella, il mio sguardo che si anneriva, mettendo fine a quel brutto sogno. Ma presi comunque bei soldi e questo è l’importante, è così che va nel mio mondo, le dai e le prendi finché uno dei due non resta in terra. Ogni uomo gioca a questo gioco ed è l’unico che ho mai imparato. Se ne conosci uno differente mamma, ti prego insegnami, dimmi qual è.

Lo so, stenti a riconoscermi, ero solo un bambino quando ci siamo lasciati. La mia voce ora è quella di un uomo, ma ho ancora i tuoi occhi scuri, ti prego apri la porta e guardami un’ultima volta. Non ti chiedo un bacio o un sorriso, apri solo la porta e lascia che mi riposi per qualche minuto. Non sono più quello di un tempo, quello dei miei cruenti racconti. La mia vita è la stessa, ma la rabbia è svanita con la pioggia. Così vago per il paese e mi batto con chi incrocia il mio cammino. Mi piace dire sempre “Se sei meglio di me fatti avanti! Mostrami i tuoi soldi e confessami i tuoi peccati!” Spero sempre di impressionare qualcuno, perché ormai i miei pugni non fanno più male come un tempo. Mamma fammi entrare adesso, ti prego, non serve che dici nulla, non ti chiedo più nulla, lasciami riposare un momento e mi rimetterò in marcia.

Così stanotte potrò tornare alla mia vita di sempre. Andrò giù al cantiere, disegnerò col piede un cerchio nella polvere e inviterò qualcuno a sfidarmi. C’è sempre qualche disperato in cerca di soldi facili. Io lo guarderò dritto negli occhi, gli lancerò la mia sfida e studierò i tagli, le cicatrici e il dolore impresso sul suo corpo, quello che racconta chi sei e che ne il tempo, ne gli uomini possono cancellare. Poi fingo di colpire, schivo a sinistra e lo centro sul mento. Il solito vecchio gioco".